Il vino parla


Vino, patate e mele rosse

Joanne Harris

Romanzo, ed. Garzanti

 
 

"Ho scelto un estratto dal bel libro di Joanne Harris, precisamente si tratta dei brani di apertura e di chiusura. Ne condivido la visione e credo mi rappresenti assai bene nella mia personale visione del vino".

Pietro Arditi

 
 
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Il vino parla.
Lo sanno tutti. Guardati in giro.

Chiedilo all’indovina all’angolo della strada, all’ospite che non è stato invitato alla festa di nozze, allo scemo del villaggio. Parla. E’ ventriloquo. Ha un milione di voci. Scioglie la lingua, svela segreti che non avresti mai voluto raccontare, segreti che non sapevi nemmeno di conoscere. Grida, declama, sussurra. Racconta grandi cose, progetti meravigliosi, amori tragici e tradimenti terribili. Ride a crepapelle. Soffoca piano una risata fra sé. Piange per i suoi stessi pensieri. Riporta alla mente estati di molto tempo fa e ricordi che è meglio dimenticare. Ogni bottiglia un soffio di altri tempi, di altri luoghi e ciascuno è un piccolo miracolo, dal più comune Liebfraumilch all’imperioso Veuve Clicquot 1945.

Magia quotidiana, così la chiamava Joe. La trasformazione di una sostanza di base in quella dei desideri. Alchimia dei profani.

Prendi me, per esempio. Fleurie 1962.

Ultima sopravvissuta di una cassa da dodici, imbottigliata e messa in cantina l’anno in cui nacque Jay. Un vino vivace e garrulo, gradevole e appena esuberante, con una nota aspra di ribes nero, proclamava l’etichetta. Non esattamente un vino che si conservi, invece è successo. Per nostalgia. Per un’occasione speciale. Un compleanno, forse un matrimonio. Ma i suoi compleanni trascorrevano senza festeggiamenti, a bere del rosso argentino e guardando vecchi western.

Cinque anni fa mi pose sulla tavola apparecchiata con candelieri d’argento, ma non accadde nulla. Però la ragazza rimase. Insieme a lei arrivò un esercito di bottiglie, Dom Perignon, vodka Stolichnaya, Parfait Amour e Mouton-Cadet, birre belghe in bottiglie dal collo lungo, vermouth Noilly Prat e Fraises des Bois. Anche loro parlano, di sciocchezze soprattutto, un chiacchiericcio metallico come ospiti che tentano di socializzare a una festa.

Ci rifiutammo di avere a che fare con loro. Fummo spinte verso il fondo della cantina, noi tre sopravvissute, dietro alle file scintillanti delle nuove arrivate, e lì rimanemmo, dimenticate, per cinque anni. Chateau Chalon ’58, Sancerre ’71, e io. Chateau Chalon, seccato per la retrocessione, finge di essere sordo e spesso non vuole parlare affatto. Un vino generoso, di grande carattere e personalità, dice nei rari momenti in cui si apre. Gli piace ricordarci la sua maggiore anzianità, la longevità dei vini gialli del Giura. Ne va molto fiero, così come del suo bouquet mielato e del suo straordinario lignaggio.

Sancerre si è fatto acetoso da tempo e parla ancor meno, ogni tanto sospira appena per la giovinezza svanita. E poi, sei settimane prima dell’inizio di questa storia, arrivarono le altre. Le straniere. Le Speciali. Le intruse che hanno dato il via a tutto, anche se loro stesse sembravano dimenticate dietro alle nuove, splendenti bottiglie. Erano sei, ciascuna con una piccola etichetta scritta a mano e una capsula di cera di candela. Ogni bottiglia aveva una cordicella di colore diverso annodata intorno al collo: rosso lampone, verde sambuco, blu mora, giallo frutto della rosa, nero susina selvatica. L’ultima bottiglia, legata con una corda marrone, era un vino che non avevo mai sentito nominare. Speciali 1975, diceva l’etichetta, la grafia sbiadita nel colore del tè vecchio. Ma all’interno c’era un alveare brulicante di segreti. Non c’era modo di sfuggire: ai loro mormorii, ai loro fischi, alle loro risate. Fingevamo indifferenza alle loro stramberie. Dilettanti. Non una traccia d’uva, in nessuno di loro. Erano inferiori, e sopportavamo malvolentieri la loro presenza fra di noi.

Eppure c’era una sfacciataggine attraente in questi sei filibustieri, un incontro febbrile di gusti e immagini che avrebbe fatto vacillare vitigni ben più sobri. Ovviamente non ci degnavamo di parlare con loro. Ma quanto lo desideravo. Forse per quel retrogusto plebeo di ribes nero che ci univa.

(...)

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...Ma prima c’era ancora una cosa da fare. Qualcuno da vedere. E qualcosa da trovare.

Qualcosa in cantina.

C’era una sola scelta possibile. Ripulì la polvere familiare dal vetro con uno straccio, sperando che il tempo non avesse inacidito il contenuto. Una bottiglia per un’occasione speciale, pensò, l’ultima delle Sue Speciali, 1962, quella buona annata, la prima, sperava, di molte annate buone. Avvolse la bottiglia nella carta velina e la mise nella tasca della giacca. Un’offerta di pace.

Quando arrivò era seduta in cucina, a sgusciare piselli. Indossava una camicia bianca sui jeans, e la luce del sole era rossa sui suoi capelli d’autunno. Fuori si sentiva Rosa chiamare Clopette.

“Ti ho portato questa”, le disse. “L’ho conservata per un’occasione speciale. Ho pensato che forse avremmo potuto berla insieme, io e te”.

Lo fissò per un lungo momento, il viso indecifrabile. Gli occhi erano calmi, verdegrigi, vigili. Alla fine prese la bottiglia protesa e guardò l’etichetta.

Fleurie 1962”, disse, e sorrise. Il mio preferito”.

E’ qui che finisce la mia storia. Qui, nella cucina della piccola fattoria di Lansquenet. Qui mi versa, rilasciando gli aromi di estati dimenticate e di luoghi di un passato lontano. Bevve a Joe e a Pog Hill Lane: il brindisi è una festa ma anche un addio.

Di’ quello che vuoi: non c’è niente che batta il gusto dell’uva buona. Retrogusto di ribes o meno, ho la mia propria magia, finalmente stappata dopo trentacinque anni di attesa. Spero che la apprezzino, tutti e due, le bocche sigillate e le mani intrecciate.

Adesso tocca a loro parlare. La mia parte è finita. Mi piacerebbe pensare che le loro finiscano felicemente. Ma saperlo è ormai oltre le mie possibilità. Sono soggetta a un diverso tipo di chimica. Evaporo allegramente nell’aria chiara, il mio mistero che si avvicina, e non vedo fantasmi, non predico il futuro, anche il regalo che rende felici appena intravisto, attraverso un vetro, nel buio.


brani tratti da

Vino, patate e mele rosse

di Joanne Harris

Editore: Garzanti (24 maggio 2012)